La Sirena e i delfini

19.08.2018

GIORNO 14

Alla fonda nei pressi di Pisco Montano, Terracina

20.30 (UTC +2)

Giornata intensa, piena di tanti momenti, che sta per chiudersi qui a Terracina, all’ancora a est di Pisco Montano, la caratteristica roccia che chiude a sud, accanto a Porta Napoletana, la cittadina.

Dopo  una notte faticosa a Ventotene, dove il Levante si è divertito a creare onde e dispetti a Cala Nave, entriamo nel Porto Nuovo, di prima mattina. Un nostro follower ci aveva segnalato sulla pagina Facebook di Seiperdue  che nel porto si riusciva ad ancorare in rada, tra il benzinaio e la linea delle boe. Dopo tanto ballare, un attimo di tregua ci voleva. Salpiamo l’ancora e risaliamo Cala Nave verso est, dirigendo vero l’imboccatura del Porto Nuovo. C’è ancora un po’ di mare, quindi l’entrata in porto è una benedizione, dato che tra il sopraflutto e la banchina nord, il mare si calma. Con attenzione e a velocità ridottissima entriamo in rada, sapendo che tutto lo specchio acqueo è zona di manovra di aliscafi e traghetti. Accostiamo a dritta, verso il benzinaio. C’è già uno yacht di modeste dimensioni, che detto da noi che siamo microbi suona fuori luogo…  

Gettiamo l’ancora a circa 10 mt dallo yacht e paralleli a lui. Non appena vediamo spuntare l’equipaggio, chiediamo conferma:

“Si può stare qui”?

“Fino alle 08.30, poi comincia il traffico dei mezzi di servizio e possono farti verbale”

Ah. “Vabbè” – penso “, riposiamoci un po’, vista la nottata ballerina. Erano le 7.30 circa. Quindi un’oretta di calma sarebbe stata importante. Decido di chiamare la cooperativa ormeggiatori via VHF. Nessuna risposta. Chiamo via telefono, non risponde nessuno. Forse perché è Domenica? Boh.

Visto il fondo prevalentemente roccioso di Ventotene, se ci trovassero un posticino in porto, potremmo goderci una visita più calma di quella di ieri sera in paese… ma nessuno risponde. Cerco allora sul sito della Guardia Costiera se ci sono Ordinanze sul porto e trovo questa, la Gaeta_Ord. 83-2004, che in sintesi vieta l’ancoraggio in rada. Magari è tollerato la notte, ma il giorno non direi proprio.

Decidiamo allora di ripartire, anche se stanchi. Usciamo di nuovo dal porto. C’è ancora onda e aria. Non abbiamo inferito la randa e visto che si balla e c’è bel vento, decidiamo di alzare la randa con una mano di terzaroli e passare al fiocco. Ci ridossiamo, per questa operazione, a ovest di Punta Eolo, Barbara alle vele, io alle drizze e al winch. Ci mettiamo un po’, perché dobbiamo sfilare il genoa, riporlo sotto coperta, cambiare i bozzelli per usare il circuito del fiocco, incocciare i garrocci del fiocco e poi alzare la randa, usando la prima brancarella e cazzando la prima borosa.

Bene, ci siamo. Perla è pronta, la vele portano, ci sono mare e vento da est in una bolina verso Terracina, prua a 346°. Ci aspettano circa 30 miglia.

Siamo sbandati, ma non troppo, quindi si va tranquilli. Il meteor va tenuto piatto il più possibile, lavorando con carrelli, vele, ma soprattutto conduzione. Di bolina il meteor va portato con sensibilità sul filo del rifiuto. Sulla raffica, piuttosto che aprire la randa per depotenziare la vela, si orza, guadagnando anche qualche grado, fino a quando non termina la raffica. Ovvio che le vele e gli assetti devono essere quanto più possibile regolati in funzione del vento che c’è, alla ricerca del miglior equilibrio anche in funzione dei pesi e dell’equipaggio a bordo.

Dopo circa 20 minuti di navigazione, il vento diminuisce.

Bizzoso Eolo, no? Barbara per prima dice “forse dobbiamo togliere una mano”, che non vuol dire amputare un arto e darlo agli squali, ma riportare la randa, in parte raccolta sulla base per ridurne la superficie esposta al vento, alla sua dimensione originale. Togliere una mano con il Meteor è operazione di pochi secondi.

Noi usiamo due tecniche, sia per prendere che per togliere una mano:

  • con calma: mettiamo Perla Nera in cappa, con la vela di prua a collo e la randa sventata, timone scontrato cioè con la barra legata per tenerlo all’orza. In questo modo la barca si “ferma” anche con mare formato, dando la tranquillità di ammaninare quanto serve la randa, mentre io sostengo il boma, far prendere una mano a Barbara, che inserisce il collo d’oca della trozza nella brancarella, tesare a ferro la borosa con il winch, e alzare di nuovo la randa, cazzando la drizza. Si esce dalla cappa o con una rapida abbattuta, o passando il fiocco sulle altre mure. Questa seconda manovra è più rapida per ripartire, l’altra più “pigra” (non bisogna fare nulla se non agire sul timone)
  • al volo: si lasca la randa mentre si è di bolina (se necessario ci si dispone al traverso) e mentre Barbara ammaina parte della randa, io sostengo il boma. Tutto il resto è uguale. Ha il vantaggio che non appena la randa è ridotta, si riparte immediatamente dopo averla cazzata.

Con mare formato è sicuramente meglio la prima, perché si opera in maggiore sicurezza.

Ora la randa è piena e Perla prende velocità, più di prima. La Prodiera però non è soddisfatta, anche perché il vento cala ancora e Perla è abituata ad altre velocità rispetto ai 3,5 nodi che stiamo facendo.

“Rimettiamo il genoa?”

Ho creato un mostro!

Quando ho conosciuto Barbara era una scatenata da windsurf, frequentatrice di Lefkada e delle sue termiche. Me la sono portata in giro per le isole toscane, le prime volte aggrappata alla falchetta senza dire una parola, ora un ufficiale di seconda, per cui corro il rischio di perdere il posto di Comandante, con tutto quello che le ho insegnato… E qualche volta che abbiamo fatto qualche regata tranquilla, senza neanche scaricare Perla di tutti i suoi orpelli da crociera, era aggueritissima!

“Barbara, se te la senti di ricambiare la vela, va bene, ma c’e ancora onda, si balla”

“Sì, vado, così camminiamo di più”

Insomma, la Prodiera parte: si riporta il genoa in coperta e lo ingarroccia tra il punto di mura e il primo garroccio del fiocco che è a riva (cioè alzato). Poi recupera la scotta soporavvento, non usata in quel momento, per assicurarne un capo alla bugna di scotta tramite una gassa d’amante, passando poi il resto della scotta nel circuito del genoa, fino al pozzetto.

“Pronta!”

Metto Perla prua al vento e mollo la drizza del fiocco, che scende rapidamente anche perché tirato a grandi bracciate dalla Prodiera. Mentre scende, apre i garrocci e toglie la vela dallo strallo. Recupera la drizza dal fiocco e la incoccia sulla penna del genoa. Toglie il punto di mura del fiocco e mette quello del genoa. Intanto Perla continua di sola randa.

“Fatto!”

“Vieni in pozzetto, che issiamo”

Barbara tra le onde e i sobbalzi rientra in pozzetto, e con la drizza del genoa alza la vela, che si gonfia in un attimo. Cazza la drizza al massimo e poi cazza la scotta, fino a mettere a segno la vela.

Ora sì che si va!

Proseguiamo sempre verso nord, ma Eolo, dopo aver disturbato i nostri sonni, deve essere a sua volta assonnato e credo si sia ritirato su qualche nuvola a schiacciare un pisolino. Dobbiamo dare motore.

Ne approfittiamo per fare il nostro dovere di spazzini del mare: non appena notiamo un qualcosa che galleggia, ci avviciniamo, verifichiamo e se del caso raccogliamo! In questa pesca ecologica tra Ventotene e Terracina abbiamo raccolto:

  • quattro cassette di polistirolo (amici pescatori, facciamo più attenzione?)
  • due palloni da spiaggia
  • una ciambella bella grossa
  • tre bottiglie di plastica

Preghiera agli amici velisti: raccogliete ovunque i rifiuti che il mare porta, sia tra le onde, sia sulle spiagge. Il mare e le spiagge sono di tutti noi, non aspettiamo che sia sempre qualcun altro a farlo!

Alla fine riempiamo ben due sacchi, da portare alla prima discesa a terra nella raccolta differenziata. Abbiamo fatto esercizio di recupero “uomo a mare” (stesse sequenze di manovra come per un recupero vero) e abbiamo dato un contributo al recupero delle plastiche.

Il mare ora è piatto, con il motore a un regime di giro tranquillo siamo sui 4 nodi, 4,5 nodi.

Sono io al timone, quando noto un qualcosa in supericie. E’ scura… Sembra la pinna caudale verticale di un grosso pesce. Viste le dimensioni, ho pensato a una verdesca, della famiglia degli squali, presente in questo tratto di mare.

“C’è qualcosa!”

Effetto piovra gigante: “COSA?!?” dice preoccupata la prodiera…

DELFINI!!!!! Sono delfini! Altro che verdesca! 4, 5, dieci, e poi ancora! Si mettono a giocare con la nostra prua, nuotano davanti a noi e a lato, fanno i tuffetti proprio davanti alla ruota di prua, dove c’è il teschio di cui avrei voluto lo sguardo sicuramente sorridente, in questa occasione. Sono stenelle, tantissime! Incontrarli in mare aperto è sempre una emozione profonda, si torna bambini, si vorrebbe restare in eterno in contatto con loro, ma anche loro hanno le loro incombenze, fatte di pesca, gioco, accudire i piccoli, cercare altre prede. E come sono apparsi d’incanto, d’incanto spariscono nelle profondità, dopo averci guardato più volte mettendosi su un fianco, quasi a salutarci. Meravigliosi!

Proseguiamo inebetiti da tanta grazia e felici del dono della visita dei delfini.

Proseguiamo e dopo circa un’ora il vento si riaffaccia di nuovo. Togliamo motore e di nuovo a vela. Temo che Eolo abbia sentito i miei rimbrotti e dopo il suo riposino, fatto magari accanto a qualche ninfa, ha deciso di scendere in campo duramente. Non è un venticello, ma vento serio sui 20 nodi.

Ricominciamo… “Metto il fiocco?”

Ancora un cambio di vele!

Quando la Prodiera è a prua, con movenze sicure e  con competenza tecnica nel suo ruolo, uso dello spi e del tangone compresi, la immagino come quelle meravigliose polene a forma di sirena, che proteggono e sembrano guidare i grandi vascelli. Una “ragazza” dei bassi anni ’60 che ha coraggio, tenacia e forza di una ventenne. Tosta, come tutte le donne di valore, per cui ogni tanto tra noi volano le sciabolate, ma alla fine finisce sempre che ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere. Ora c’è solo da farle un gran bell’applauso: tre cambi di vele nella stessa tratta, senza mai tirarsi indietro. Sul meteor non c’è il rollafiocco né tanto meno il rollaranda: questa è una barca vera, mica un giocattolo!

Di nuovo fiocco e una mano e si va di bolina seria, puntando a Terracina. E’ la termica pomeridiana, che non scherza sul Tirreno.

Perla vola: 5,7. Poi 6 nodi. Poi 5.2, 5.5…

Contattiamo Alessandra, amica terracinese da anni, velista, che aspettava notizie, sapendo che eravamo in zona. La informiamo che stiamo arrivando e chiediamo se c’è modo di ormeggiare in porto, in una delle due darsene. Alessandra fa un paio di verifiche e ci suggerisce, richiamandoci, di ormeggiare in rada, dalla parte della “Spiaggetta”, accanto a Pisco Montano, la particolare roccia che, insieme al tempio di Giove Anxur, sono gli elementi distintivi di Terracina.

Arriviamo, dopo una lunghissima bolina, in rada e facciamo un giretto di assaggio a est di Pisco Montano, vicino al punto dove l’Appia passa vicinissima al mare. Il vento si è calmato e c’è qualche altra barca all’ancora, per cui caliamo la nostra trefoil, mettiamo il pallone nero che indica che siamo alla fonda, accendiamo la luce di fonda visto che sta per calare il buio e, soprattutto, prepariamo per la cena. La Prodiera prepara una pasta al tonno strepitosa, complice l’essere in barca, dove tutto è più buono!

Finalmente un ridosso tranquillo, in luoghi amici. Per anni ho frequentato e fatto regate qui e Barbara ha trascorso molti anni della sua infanzia in vacanza a Terracina, località bellissima e piena di storia, da quando era città dei Volsci (il nome Anxur è volsco ed era il nome della città, dice Orazio nelle sue Satire), alle vestigia romane, al periodo medievale che le ha lasciato torri e chiese.

Questo stato di benessere, con una sirena tra le braccia, i delfini nella mente e la calma dell’ancoraggio, mi porta finalmente a dormire di sasso, dopo due notti molto impegnative.

Ma non sappiamo ancora cosa ci aspetta…

BV, marinai!