22.08.2018
GIORNO 18
Ostia, Porto Turistico
Mezzanotte, sotto la pioggia
Siamo ancora storditi, da quanto vissuto oggi. Nel calduccio delle cuccette e delle coperte, mentre fuori piove forte, rimetto in ordine una giornata di quelle che non si dimenticano.
Al risveglio, nell’alba di Torre Paola, al Circeo, lascio dormire la Prodiera e armo la barca in autonomia.
Non c’è vento ancora, ma alzo comunque la randa, mettendomi a piede d’albero e sfruttando il winch, alando la drizza. Tolgo il pallone nero della fonda, libero il genoa dagli stroppi che lo serrano sulla battagliola e metto in moto il fuoribordo. Poi torno a prua, per issare l’ancora e salpare e mentre la vedo salire nella trasparenza dell’acqua, sento il motore avviarsi: Barbara si è svegliata e senza dirmi nulla si è messa al timone e ha dato marcia avanti al momento giusto. E’ sempre più autonoma e sicura in quello che fa. Mi toccherà aumentarle la dose del nostro “grog”.
Il “grog” era una bevandaccia tipica di pirati e marinai. Nel bellissimo racconto “Endurance”, relativo alla vicenda della nave omonima e del suo incredibile Comandante Ernest Henry Shackleton, i barili di grog avevano un ruolo fondamentale per rinfrancare l’equipaggio, soprattutto nel freddo polare. Era un misto di rhum, acqua e non so cosa altro, niente a che vedere con il nostro “grog”, fatto di acqua, menta e orzata, che nella calura estiva è un energetico di piacere e zuccheri, che aiuta non poco. Di solito andiamo a birra, ma il nostro “grog” disseta ed è piacevole.
Partiamo, lasciandoci alle spalle il Circeo. Il tempo è bello e le previsioni sono tranquille. Per ora Eolo dorme, quindi andiamo a motore, a velocità di crociera, sui 4.5 nodi. Puntiamo a NW, verso Nettuno. Mi accorgo che il tubo della benzina, quello che va dal serbatoio all’attacco del fuoribordo, è “secco” e indurito. Devo cambiarlo alla prima occasione, perché quando raggiunge questo stato, le crepe e le microfessure sono molto più probabili, per cui aggiorno l’elenco dei lavori sul quaderno rosso che ha pagine e pagine di appunti, schizzi di lavori, cose da fare, coordinate. Ci parlo, con i quaderni, perché seguono i nostri viaggi e le nostre avventure. Ci sono pagine che ti ricordano un’isola. Macchie di grasso che parlano di un lavoro fatto. Scarabocchi che sanno di una giornata caotica.
Fa caldo, troppo. Mentre siamo quasi al traverso di Torre Astura, decidiamo di fare una sosta, per mangiare e fare un tuffo. Ci sono tante altre barche, soprattutto piccole e soprattutto motoscafetti. Devo dire che stranamente l’acqua non è trasparente, come invece ci saremmo aspettati. Probabilmente le correnti hanno portato in giro quello che esce dall’Astura, il fiume della zona. Ne approfitto per dare una passata di spugna alla carena, stranamente sporca, molto più di tante altre zingarate fatte per giorni dalle parti delle isole toscane. Sull’opera viva trovo “vellutello” e soprattutto dei piccoli cirripedi, come delle piccolissimie virgolette bianche e ben aderenti. Il passaggio di spugna funziona, anche se faticoso.
Dopo circa un’ora ripartiamo, puntando al porto di Nettuno, soprattutto per fare rifornimento che, tra un tentativo e l’altro nei giorni precedenti, ancora non siamo riusciti a fare. Abbiamo il secondo serbatoio vuoto e il principale già iniziato, quindi meglio provvedere. Chiamo via radio la torre del porto di Nettuno, per chiedere accesso, dato che si tratta di un marina privato. Specifico, nel chiamare, che dobbiamo fare rifornimento, per cui ci danno il permesso. Peccato che la stazione di servizio, nelle ora centrali della giornata, sia chiusa! La torre non ci ha avvisato e soprattutto, nonostante sia agosto, non c’è nessuno, né c’è il self service. Per aspettare l’apertura dovremmo rimanere fermi per 90 minuti. Niente, ripartiamo, non vogliamo attardarci oltre, anche se con il secondo serbatoio vuoto.
Sale finalmente un po’ di vento e andiamo di gradevole bolina, con Barbara al timone.
Dopo un po’ il vento cala di nuovo e si prosegue a motore, sempre a randa alzata per limitare il rollio. Sfiliamo davanti ad Anzio, poi Lavinio, poi Tor San Lorenzo.
Intanto il cielo cambia e in lontananza si sente qualche rullo di tamburi. Non sono tamburi. Sono tuoni, ancora una volta. Neanche fosse autunno pieno… Le nuvole sono alle nostre spalle, sull’entroterra e sembrano scure e corpose, ma lontane.
Meglio così.
Alla nostra sinistra cammina un’altra barca a vela, a circa 500 mt. Molto più grande, ma non molto più veloce, anche lei procede a motore.
Cominciamo a sentire dei rombi, ma stavolta sono rombi d’aereo. Siamo al traverso dell’aeroporto militare di Pratica di Mare e ci godiamo una fitta sequenza di atterraggio di aerei militari, a pochissima distanza l’uno dall’altro. Ci passano sopra, vanno a virare molto più a sud, allineandosi con la pista d’atterraggio, da sud a nord. Ne contiamo 4, 5, 6 e poi ancora, come se fosse il rientro di una processione!
Intanto i tamburi lontani crescono, i tuoni si avvicinano. Mi accorgo di non essere troppo tranquillo. Soprattutto quando, continuando a guardare gli aerei, ci cade l’occhio su di lui.
Il MOSTRO.
Un cumulo dalla base immensa e scura.
Il cielo verso terra è plumbeo e squarciato da fulmini e saette di tutte le forme e dimensioni. Barbara impallidisce di colpo. Il MOSTRO sembra inseguirci, molto più veloce di noi… le nuvole che lo compongono si aprono, come le chele di uno scorpione velenoso che vuole prenderci.
In un attimo il caos.
Arriva una botta improvvisa di vento da poppa che sembra un ruggito. In pochi secondi il mare è stravolto da onde e schiuma.
“Butta giù la randa, BUTTA GIU’ LA RANDAAAA” grido alla Prodiera.
Barbara si precipita allo strozzascotte della drizza e inizia ad ammainare ma la maledetta drizza fa la ‘parrucca’, una serie di “cocche” (nodi e colli involontari sulla cima) che impediscono il completamento dell’ammainata. La randa prende vento, il boma si apre e va in acqua, lo recupero di forza e lo rimetto nel pozzetto, azione che su un Meteor riesce, su una barca più grande neanche con una gru riuscirebbe.
Continuo a tenere il timone e dare motore per tenere Perla ben dritta sull’onda. “BUTTA GIU’ ‘STA RANDAAAA!”. Barbara è spaventata, capisce che deve buttarla giù in qualche modo, io non posso lasciare il timone neanche un secondo, altrimenti in un attimo la barca tra onde e vento potrebbe intraversarsi, adagiandosi su una fiancata, il che significherebbe cadere in acqua. Finalmente, la vela scende. Con forza la Prodiera la porta giù, liberando la drizza dalle cocche. Buttiamo vela e boma sul fondo del pozzetto, chiudendo la vela alla meglio, non c’è tempo né modo di serrarla per bene. Ora piove e non è pioggia, ma secchiate. I bollettini meteo non davano questo, accidenti!
Barbara è terrorizzata ma ascolta i miei comandi. Io, a parte la prima botta di vento e l’attimo in cui il boma è andato in acqua facendomi temere una straorza, sono stranamente tranquillo. O sono pazzo o lucido da botta di adrenalina…
“Prendi le cerate, corri!”. Barbara si infila sotto la vela della randa, che oramai ostruisce il tambuccio e recupera le cerate, che teniamo sempre pronte in sacche particolari. Ci copriamo e già la pioggia sembra meno pioggia. Le onde intorno sembrano avere i denti. Sembrano squali che ci inseguono. A poppa le vediamo più alte di noi, ma Perla Nera la sento tranquilla. Si inarca come un cavallo al passaggio dell’onda e rimane dritta perfetta, senza sbandare. Beh, oddio, un paio di volte ci ha provato, magari qualche onda ha tentato il colpo cattivo, ma il timone lungo e potente del meteor è una sciabola contro i marosi e il bulbo da 270Kg è una certezza di stabilità, in rapporto alle dimensioni della barca. Basta un colpo di barra in anticipo sull’onda e la barca si dispone al meglio per non farsi portare a spasso.
“Stai calma…” dico a Barbara, che ha lo sguardo preoccupato, incorniciato dai ricci biondi che gocciano di pioggia, nonostante il cappuccio – “Prendi i giubbotti autogonfiabili”.
“Davide, che succede…?”, mi chiede, in apprensione.
“Stai calma, dobbiamo avere pazienza”
“Ma che vuol dire, che dobbiamo andare fuori rotta? Fino a quando non finisce?”
“Stai calma – ripeto ancora – intanto assecondiamo il mare, poi vedremo. O vuoi provare la bolina?”
“No, no!”, dice spaventata.
Barbara scende di nuovo sottocoperta. Usiamo la tela della randa come copertura per non far entrare l’acqua in cabina, dato che non possiamo chiudere il tambuccio. L’altra barca ci ha distanziati, probabilmente dando più motore. Il nostro 4HP tiene bene, ma fa quallo che può, che è già tanto: tiene la barca dritta.
Indossiamo i giubbotti. Non mollo mai la barra e mi accorgo di avere tutti i sensi allo spasimo: ascolto i tuoni, per capire se il temporale sta passando. Sento il fremere del timone e sono tutt’uno con lui, come se Perla, timone e io fossimo un corpo unico. Guardo avanti, per non perdere la linea e per tenere d’occhio i punti di riferimento. Stiamo andando nella direzione giusta. Continuo ad annusare l’aria, preoccupato – senza dirlo a Barbara – che il motore finisca la benzina del serbatoio. Non essendo riusciti a fare benzina nel secondo serbatoio, non sono tranquillo. Quando la benzina sta per finire si sente un po’ più di odore, prima che il motore tossisca per spegnersi del tutto. Mi manca il gusto, ma in bocca sento solo il sale della schiuma che ci arriva addosso.
Ci saranno botte da 30 nodi, di poppa. Ci sono momenti in cui l’albero vibra, come se fosse scosso da un demone dalla testa d’albero. Tuoni ovunque. Fulmini a raffica, soprattutto verso Torvaianica. All’improvviso veniamo colpiti da un materassino gonfiabile! Siamo a due miglia circa dalla costa, eppure il vento lo ha preso da chissà quale spiaggia e lanciato contro di noi, forse per spaventarci. Incredibilmente il materassino, che ha preso la nostra murata di dritta, scorre tutto il lato di dritta e arrivato a prua torna indietro, sulla murata di sinistra, preso da un vortice che poi lo spazza lontano! Siamo al centro di una tromba d’aria! Per fortuna leggera. Tutto vibra, tutto trema. Perla però tiene e tiene bene. Sembra capire che si deve prendere cura di noi e lei fila via liscia, sempre dritta come un fuso, su e giù sulle onde, incurante dei tuoni, degli spruzzi e della pioggia.
“Barbara, prendi la tormentina”
“La tormentina? Siamo in pericolo?”
“Stai calma, valla a prendere”
Non so se la benzina potrà bastare, meglio preparare una vela adatta per avere la capacità di governare. Ma il fatto della benzina non lo dico alla Prodiera. Intanto preparo l’ancora galleggiante, un cono di tela plastificata che lanciato a poppa e assicurato sulle gallocce rallenterebbe la corsa della barca sulle onde, riducendo il rischio di intraversarsi, mai dovesse esserci il bisogno. Rimango concentrato sul timone, sembro quasi uno vero.
“Davide, ce la facciamo?”
“Certo, stai calma”
Ero calmo nel pieno del caos di onde e fulmini e vento. Non nascondo di aver recitato qualche preghiera. Io non sono credente, ma rispetto tutte le religioni e in quel momento qualche parola tra quelle che ricordavo dalle preghierine di quando ero bambino l’ho recitata.
Continuo a sentire il timone in ogni suo movimento e lo guido e lui guida Perla Nera.
“Barbara, legati e poi lega me”
Volevo farle una battutaccia sul fatto di legarsi, magari per farla sorridere, ma avevo capito che non era il caso. In un attimo la Prodiera usa la scotta della randa, ormai ammainata, per fare una gassa tra la sua imbragatura e il carrello della stessa randa, nel pozzetto e fa lo stesso con me.
“Bene. Ora siamo al meglio di quello che possiamo fare. Non resta che continuare così e aspettare”, le dico.
E’ quasi buio. In lontananza vediamo le luci di Ostia.
“Andiamo al porto di Ostia, che ne dici, Barbara?”
“Sì, sì…”
Cerco di farla parlare il più possibile, per distrarla.
Intanto la depressione sembra superarci e il vento cala un po’. Piove ancora, ma già ci sembra un miracolo. Le onde vive, non più spinte dalla stessa forza del vento, calano leggermente, ma ancora ci sono e si fanno sentire.
Allora diminuisco la velocità. Barbara sente il diverso numero di giri e si gira di scatto verso poppa, temendo un problema al motore. Non le voglio dire che rallentando consumiamo meno, anche a costo di arrivare un po’ più tardi. Se le dicessi che potremmo avere problemi di benzina, non la aiuterei di certo.
“Nulla, ho solo rallentato per governare meglio”
Falso. Come un marinaio.
“Davide, ma se uno cade in acqua?”, mi chiede.
“E perché dovresti cadere in acqua?”
“Così, per sapere… Si gonfia il salvagente?”
“Beh, siamo legati, quindi è già più difficile cadere in acqua. Secondo poi, se cadi in acqua, il salvagente si dovrebbe gonfiare. Se non si gonfia da solo c’è la cimetta per farlo gonfiare, se non si gonfia, c’è la cannula per soffiare…”
“E poi, in acqua che fai?”
“Beh, nuoti. No? Si nun te se magna la squalo bianco, a forza de nota’ stamo a casa pe’ cena!”
Siamo anche riusciti a ridere!
Il tempo va leggermente migliorando. Ora ho solo la preoccupazione della benzina, ma il motore continua il suo rassicurante ritmo.
Ostia è sempre più vicina, ma sembra sempre lontana. Cominciamo a essere stanchi. E’ buio oramai. Sono cresciuto a Ostia e per un decennio sono stato socio della Lega Navale, girando in lungo e largo il litorale con il laser, per cui riconosco dal mare le sagome dei punti cospicui di quella zona, anche al buio. Vedo la rotonda della Colombo, poi il fungo dell’acqua, la cupola della chiesa principale, il pontile, le luci del lungomare.
Ora dobbiamo allinearci con l’entrata del porto, sperando che le onde da SE non rendano difficile la fase di avvicinamento. Scirocco e Libeccio a Ostia sono pesanti traversie, soprattutto con venti forti. Per fortuna la perturbazione è passata, il vento è calato di molto e ora piove solamente. Piove tanto, ma va bene così, non c’è quasi più onda.
Cominciamo a vedere le luci verde e rossa dell’imboccatura del porto, che avendo una zona di “decantazione”, ha anche doppie luci all’interno, sempre verde e rossa, ma leggermente diverse per forma. Prima di riuscire ad allineare i fari abbiamo dovuto capire quali erano le prime e quali le seconde.
Dalla radio VHF sentiamo la Guardia Costiera cercare di contattare chi aveva lanciato delle richieste di soccorso. Nei pressi dell’antemurale di levante notiamo un grosso yacht alla fonda, che aveva preferito dare ancora nella buriana, piuttosto che affrontarla in navigazione. Sentiamo via radio altre barche chiedere accesso al porto. Noi intanto indoviniamo l’allineamento in modo perfetto, esattamente al centro dell’imboccatura. Avevo sentito via radio la torre che consigliava ad altre barche di entrare sulla dritta, per via di alcune rocce sul lato sinistro dell’entrata. Mi tengo a dritta e provo anch’io il contatto radio con la torre.
“Torre Porto Turistico da Perla Nera, cambio”
“Avanti Perla Nera”
“Chiediamo l’accesso per un transito per questa notte, natante a vela lunghezza sei metri, pescaggio un metro, cambio”
Attimo di silenzio.
“Qui Torre, devo aver copiato male (capito male per via di un eventuale disturbo radio, ndr). Avete detto SEI METRI?”
“Qui Perla Nera, affermativo. Siamo lunghi SOLO sei metri. E’ una barca a vela della classe Meteor. Siamo appena usciti dalla buriana, fateci entrare, siamo distrutti”
“Va bene, rimanete in stand-by fuori dal porto, vi diamo OK noi prima di entrare”
“Senti, noi siamo già dentro il porto, nella zona di decantazione. Io non esco di nuovo in mare. Piuttosto giro in circolo all’infinito qua dentro. Aspetto un tuo OK”
“Va bene. Vi comunichiamo la piazzola quanto prima”
E così è stato. Dopo pochi minuti ci hanno comunicato la piazzola, una di quelle nella zona delle piccole barche, nella parte a levante nel porto. Ad attenderci in banchina due ormeggiatori che si sono fatti in quattro per aiutarci, con la trappa a poppa e gli ormeggi di prua. Siamo al sicuro, ora.
La benzina è bastata, Perla è stata superlativa, Barbara anche, seppure spaventata. Io sono ancora sotto adrenalina.
Gli ormeggiatori si complimentano con noi, dopo aver capito che avevamo superato il MOSTRO. Ci dicevano che molte barche avevano avuto problemi e in un paio di occasioni erano dovuti uscire a dare assistenza.
Bagnati come pulcini ma enormemente sollevati, ci siamo guardati negli occhi come bimbi usciti da una brutta avventura. Infreddoliti e affamati volevamo mangiare, ma alle 23.30, in piena estate, in un porto grande come quello di Ostia è già tutto chiuso, per cui dopo un paio di tentativi a vuoto in due ristoranti e in un bar dove ci hanno solo saputo dire che stavano chiudendo (pur avendo ancora avventori seduti ai tavoli), mestamente siamo tornati in barca, dove, per fortuna, non manca mai il mangiare, né la birra. Volevamo solo essere coccolati ma sperare di avere servizi degni di un vero marina è sempre complesso, qui da noi.
Ci asciughiamo, visto che eravamo zuppi fino al midollo, ci cambiamo e mettendo le copertine sulle cuccette creiamo quel tepore che, unito al nostro abbraccio, ci fa addormentare pensando: ce l’abbiamo fatta!
BV, marinai!
ps.: i giornali hanno riportato della tromba d’aria che ha fatto anche danni sul litorale. Strano non abbiano menzionato Perla Nera! 🙂
Tromba d’aria a Torvaianica, volano pure le bancarelle (foto e video)
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