Ormai eravamo a metà agosto e avevamo percorso circa 260 miglia da quando eravamo partiti da Santa Marinella. Eravamo già al 12 giorno di mare, senza mai entrare in un porto per ormeggiare, godendoci le rade e la libertà di queste, in particolare quelle della Corsica.
L’arrivo imminente del Maestrale ci consigliava di riavvicinarci all’Italia e ridossarci verso l’Elba, anche perché il vero problema dell’andare a vela è il tempo che hai a disposizione: le ferie hanno un inizio e una fine e Giove di certo non è troppo intenzionato a concordare con noi terrestri fantozziani il tempo meteorologico, per cui in quel periodo è sempre una partita a scacchi riuscire a realizzare le rotte pianificate, cercando di sfruttare al massimo il tempo che si ha prima di tornare a vestire gli abiti incravattati.
Diverso è quando si naviga e basta, quando cioè si ha tutto il tempo che serve, con tutta la lentezza che serve. Ci arriveremo, è lì che vogliamo andare…
Quando c’è Maestrale e siamo all’Elba ci nascondiamo di solito a Porto Azzurro. Il suo ‘fiordo’ è profondo e ridossato praticamente da tutti i venti, eccetto Levante (raro) e Scirocco (niente di serio, si balla un po’). Perla pesca solamente un metro , quindi possiamo avvicinarci al nostro posto preferito, al traverso della spiaggetta usata per lasciare il tender, a ovest di Punta San Giovanni. Per le sue caratteristiche è luogo frequentatissimo, da barche di tutti i tipi e dimensioni e nazionalità ed equipaggi.
Catamarani immensi e poco più grandi di Perla, velieri che sembrano galeoni e barche iper tecnologiche dove pure gli skipper sono in fibra di carbonio, tanto camminano impettiti.
E quando cala il buio, le luci di fonda giocano a fare le stelle…
Il paesino di Porto Azzurro è piacevolissimo. Vicoletti, mille ristorantini, punti di ristoro, musica in piazza, la giusta e allegra confusione estiva. Nelle nostre passeggiate per far muovere le gambe e gustarci un gelato, abbiamo fatto un incontro di quelli che rimangono nei cassetti dei ricordi.
Barbara era rimasta colpita da un braccialetto esposto in un negozio in una delle vie principali di Portoazzurro, via D’Alarcon, perché aveva il ciondolo con la forma dell’isola. Entriamo nel negozio e ad accoglierci c’è una elegante signora con un accento che non è certamente toscano. Gentilissima e affabile, si prende cura di Barbara, aiutandola a scegliere, mentre sopraggiunge il marito, Diego, anche lui con un accento che non ti aspetteresti. Sono entrambi di Brescia, ma da una vita vivono metà anno all’Elba, gestendo il negozio di bijoux, coralli, pietre.
“E come siete capitati qui?” faccio con la mia solita curiosità di carattere antropologico e etnografico…
“Sono un gemmologo e questo è il mio mondo. L’Elba fino a trenta anni fa era un isola dalle mille miniere, dalle quali si estraevano minerali di tanti tipi e grandi quantità di ferro, già raccolto in epoca antichissima sull’isola”. E così dicendo mi mostra delle foto in cui, già da giovane, era in giro per il mondo asiatico, e non solo, in luoghi di scavo e lavorazione delle pietre. “La mano d’opera da quelle parti ha un costo minimo, per cui non ha più senso ora scavare qui, avrebbe costi molto maggiori”. Le vetrine erano piene di colori, forme diverse, foto. E sopra le vetrine dei libri. Ne prende uno e lo tira giù con la passione di chi ha voglia di raccontare. Ne siamo rapiti… Diego ci mostra le vecchie miniere dell’Elba, riportate in un volume, ci spiega le tecniche per il recupero dei geodi, le lavorazioni, le sfumature. Sembra portarci con il racconto in posti lontani ed esotici.
“E’ bello vedere la passione con cui parli del mondo delle gemme, Diego” e lui, di rimando, mi risponde con una frase che mi è rimasta scritta nel cuore e che voglio condividere, perché è uno scrigno di saggezza:
“Sai cosa c’è? Il segreto è negli angoli della bocca.”
“Cioè?” – chiedo.
“Se gli angoli della tua bocca sono costantemente verso il basso, vuol dire che nella tua vita c’è qualcosa che non va. Il lavoro, una relazione, una serie di preoccupazioni. Se gli angoli della bocca sorridono anche a labbra chiuse, stai facendo ciò che ti fa stare bene. E questo mio mondo mi dona quegli angoli della bocca.”
Siamo rimasti incantati, commossi, anche nel vedere questa bella coppia che con amore segue il loro negozio il cui vero brillare è dato da loro due, prima ancora delle loro belle pietre.
Noi viviamo spesso quegli angoli della bocca, soprattutto quando siamo su Perla Nera. Certo ogni tanto capita qualche guaio, qualche preoccupazione o qualche incomprensione, per cui gli angoli si trasformano in denti da vampiro e la voce soave in urlo gutturale, come quando mi sono accorto di aver perso il salmone nella fitta posidonia di Porto Azzurro. Caspita! Devo inventarmi un diverso sistema per unire i pesi e assicurarli al moschettone di scorrimento, perché dopo un po’ l’usura rischia di lasciare sul fondo i pesi. In altre occasioni sono andato a ripescarli anche a 10m, ma con la posidonia fittissima era impossibile ritrovarli e il giro di perlustrazione con maschera e pinne aveva dato esito negativo.
Grigi i pesi, fitta e grigio-verde la posidonia, figuriamoci… Con il senno di poi, pensavo “dovevo metterci un grippiale oppure verniciarli di un giallo canarino!”. Tutta esperienza portata a casa.
Preparo quindi la seconda ancora, una ombrello da 6kg, da usare come salmone, così da avere sempre la possibilità di rinforzare la linea d’ancora. Lego le marre affinché non si aprano, serro il grillo al moschettone e abbiamo un nuovo salmone, anche se dovrò ripristinare un nuovo set di pesi da sub per questo compito, perché più comodi e per avere sempre pronta anche la seconda ancora.
Il Maestrale tira insistente. Ne abbiamo presi di ben peggiori, ma il fatto di essere dalla parte giusta dell’isola ci permette qualche momento in più di vita a terra. Incontriamo Luisa e Leonardo, amici storici che nel nostro primo viaggio all’Elba ci hanno aiutato e coccolato, come è raccontato nell’ebook (tra poco anche libro cartaceo) “Sei per due – La vela possibile”. Un “rito” che con i nostri amici non manchiamo mai è quello di una sana mangiata di prelibatezze elbane, guidati dalla loro conoscenza di luoghi e vini, dato che operano nel settore. Leonardo ci porta alla Laconella, in un chioschetto che è un incanto affacciato sul mare, tra tavole da windsurf e buon vino. Ammetto che dopo tanta libagione la remata col tender verso la barca è stata una dura prova, certamente ridanciana e allegra. Alla fine ci siamo tuffati nelle cuccette di Perla, che ci aspettava preoccupata all’ancora nella rada di Golfo Stella e sembrava rimproverarci come una sorella maggiore.
Il giorno dopo la giornata è stata radiosa, con la testa un po’ pesante, ma tanta voglia di veleggiare. Decidiamo di andare a Fetovaia e decido di salpare a vela, anche se ci sono un bel po’ di barche intorno a noi. Le condizioni sono però perfette: siamo sopravvento rispetto alle altre barche, ci saranno 8-10 nodi da terra in grado di dare la giusta spinta e recuperando il calumo ci saremmo ulteriormente allontanati dal gregge. Issiamo la randa e la faccio portare quel po’ che serve per aiutare Barbara all’ancora, avanzando o frenando Perla alla bisogna. Non appena l’ancora è spedata e portata a bordo, alziamo il genoa al traverso, per poi poggiare decisamente fino ad avere vento in poppa per passare in mezzo al gruppo di barche ormeggiate. Sentiamo un grido: “Braviii, bella manovraaaa!” – ci saluta così un vicino di barca. Lo saluto e lo ringrazio, non perdendo di vista la prua di Perla, che scivola tra le altre barche all’ancora.
Il vantaggio di una piccola barca è anche questo: la manovrabilità e la reattività di un 20 piedi ti permette manovre a vela che con una grande sono rischiose, soprattutto in contesti affollati. Gli anni di regate fanno il resto sulla conduzione, dalle partenze, all’arretrare con la vela, agli incroci millimetrici. Insomma, ci divertiamo come ragazzini!
Ci siamo divertiti molto meno il giorno dopo, anche se la giornata era iniziata con un bell’incontro nella bellissima Fetovaia. Mentre eravamo all’ancora, con il nostro freschissimo tendalino, sentiamo una voce femminile dall’acqua:
“Non ci posso credere! Perla Nera!!!”
Ci giriamo per capire chi fosse, solo che facciamo appena in tempo a vedere una ragazza che dal SUP parte in una mezza sforbiciata nell’aria, del tutto involontaria, quasi fosse la nota immagine delle figurine Panini! L’entusiasmo dell’incontro le aveva fatto perdere l’equilibrio, quindi SUP da una parte e ragazza dall’altra in salto mortale indietro!
Ci guardavamo, stupiti, mentre lei riaffiora ridendo a crepapelle e recuperando la tavola, che se ne andava a spasso.
“Cristiana!!!”, la chiamiamo in coro…
“Ciao, ragazzi! non ci posso credere!”, risponde. Cristiana è una cara amica velista vera, ex campionessa europea laser, commentatrice TV per la vela e imprenditrice di una bella realtà legata alla vela e alla organizzazione di eventi in barca. “Siete proprio voi con il meteor!”.
Recuperato il SUP sul quale sedeva accanto alle murate di Perla, ci siamo messi a chiacchierare delle nostre veleggiate in Corsica e delle loro, che alla Corsica stavano puntando, con una barca tre volte più grande. Arriva quindi Alessandro, suo compagno e anche lui nel mondo della nautica da anni. Chiacchierando e scherzando sulle micro dimensioni di Perla Nera, scopriamo che Barbara, Alessandro e io siamo nati lo stesso giorno dell’anno, il 5 febbraio, anche se il più vecchio dei tre sono io.
“Andiamo a brindare nella nostra barca!”, dice Alessandro, che si era fermato con il suo tender a murata. Barbara passa sul tender e io sto per seguirla, mentre Cristiana si avvia con il SUP verso la barca. Mi tengo al paterazzo per scendere, quando questo all’improvviso fa un rumoraccio e cede! Il rumore è stato secco ma stranamente tutto sembra a posto. Alessandro, che di barche se ne intende sul serio, ha la sensazione che non sia successo nulla. Io però sento il paterazzo stranamento lasco e non mi sento tranquillo.
“Aspettate, controllo…” risalgo a bordo di Perla e febbrilmente controllo tutto.
A un tratto mi si gela il sangue: lo strallo di prua dondola beffardo e libero! E’ saltata l’impiombatura!
L’albero però è miracolosamente in piedi… Capisco il perché, dato almeno da due fattori, anzi tre.
Primo, siamo fermi all’ancora e non ci sono pressioni sulle manovre fisse. Secondo, vero motivo vitale, ho alzato il pallone nero che è il segnale di ancoraggio, cosa che facciamo sempre. Il pallone è tenuto dalla drizza del genoa e legato al pulpito. E’ stato lui a evitare che l’albero cadesse verso poppa, creando una linea di sostegno drizza-pallone-cime sul pulpito del tutto involontaria, ma miracolosa. Terzo: Santa Perla Marinara, che ha messo una mano sull’aureola e una sull’albero e Santo Pallone da Fonda.
Poi dicono che il pallone non serve…
E ora, che facciamo?
(cont.)